giovedì 26 gennaio 2017

The Blair Witch Project


Il problema del 99,9% dei film horror è che non fanno quello che dovrebbero: fare paura. Di solito la "paura" (se così si può chiamare) provocata da tali film è basata essenzialmente sulla tecnica del "BU". Ovvero di tanto in tanto un bel rumore cacofonico a tutto volume irrompe nella sala cinematografica, per accompagnare anche solo una mosca che si posa sul tavolo ed ecco lì che noi facciamo un salto sulla poltrona. "E grazie al cazzo" aggiungerei io, per usare un francesismo. Ma questa non è "paura"; è solo la reazione istintiva ad uno stimolo improvviso. Chiunque zomperebbe sulla poltrona. In altre parole: so' boni tutti a fa' paura così. Ma la paura è un'altra cosa...

Il film di oggi è secondo me un capolavoro di cinema e originalità a 360°, che vince sotto tutti i punti di vista.

Si tratta di un horror, anche piuttosto semplice. Tre studenti di cinema girano un documentario sulla fantomatica strega di Blair, una tizia cacciata per stregoneria dalla sua cittadina (Blair appunto) e costretta quindi a rifugiarsi nel bosco vicino. Misteriose sparizioni però alimentano il mito che la tizia sia una strega. Avventuratisi nel bosco alla ricerca di tracce, i tre ragazzi finiscono nei guai...

Cos'è che rende questa pellicola un caso più unico che raro?

Tanto per cominciare la campagna pubblicitaria, efficacissima. Il film infatti fu pubblicizzato su internet e spacciato per un vero documentario, al punto che ancora oggi c'è gente che dubita che si tratti solo di un film. Non a caso il film stesso inizia con un disclaimer che avverte lo spettatore che quello che sta per vedere è il materiale ritrovato dei tre ragazzi e che si tratta quindi di un resoconto vero. Geniale, ha creato un hype spaventoso, considerato che era praticamente una produzione amatoriale.

Il film inoltre è girato tutto in soggettiva dai tre attori, tramite due telecamere, una a colori e una in bianco e nero. Questo crea in alcuni spettatori un po' di mal di mare, ma io la considero una genialata, perchè il grado di coinvolgimento che crea è totale, e ciò è FONDAMENTALE per un film horror. Tra l'altro sono i tre attori stessi a girarlo, dopo aver seguito un breve corso di macchina da presa. In fase di riprese, poi, non avevano contatti con la produzione. Ricevevano quotidianamente degli appunti, una specie di filo conduttore da seguire, dopo di che il resto era affidato all'improvvisazione. Man mano che si andava avanti, si addentravano sempre più nel bosco e con sempre meno cibo. La tensione e lo stress emotivo raggiunto verso la fine erano ai massimi livelli, per cui la paura che traspare dai loro occhi risulta essere davvero naturale. Metodo rischioso, ma non si può dire che non abbia dato i suoi frutti.

La recitazione anche è ai massimi livelli, considerando che si tratta di attori sconosciuti alla prime armi alle prese con l'improvvisazione: tanto di cappello.

In definitiva, molti l'hanno bocciato per l'effetto "mal di mare". Io lo promuovo per l'originalità e perchè è l'UNICO horror nella storia del cinema che ha provocato in me quello che mi aspetto da un horror.

Chi ama il cinema tradizionale, le trame lineari, i mostri in CGI spiattellati in bella mostra a squarciare gente, ne stia lontano.

Come tutti i film di successo, ne è stato fatto un seguito, girato però in modo tradizionale. Ecco, lasciatelo nel dimenticatoio.


"Ho paura di chiudere gli occhi...e ho paura di aprirli"

The Experiment


Non lasciatevi ingannare dal recente remake americano, quello di cui parlo io è il The Experiment tedesco.
E non lasciatevi ingannare dal trailer o dalla locandina, che lo dipingono come un horror alla The Saw.

Phad è un reporter alla ricerca di uno scoop con cui rilanciare un po’ la sua personale carriera. Risponde ad un annuncio su un esperimento psicologico, dove i candidati dovranno farsi chiudere in un finto carcere ed essere monitorati per due settimane. Phad si farà rinchiudere e cercherà, per avere maggior materiale per lo scoop, di vivacizzare l’esperimento, ma le cose prenderanno nel giro di pochissimo una brutta piega...

Ispirato all'esperimento carcerario di Stanford. 20 uomini chiusi in un finto carcere: 12 interpretano la parte di detenuti, 8 interpretano la parte di guardie. L'esperimento era volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza. Terminato anzitempo, l'esperimento dimostrò come la deindividuazione porti un uomo a perdere il proprio senso di responsabilità personale, la considerazione delle conseguenze delle proprie azioni, il controllo basato sul senso di colpa, sulla paura, sulla vergona. Insomma, l'anonimato del gruppo ci porta a fare cose che mai penseremmo di fare...

Andai a vederlo al cinema ignorando completamente di cosa parlasse. Così...a sorpresa! Ingannato come, credo, molti dal trailer, mi aspettavo un film più horror, che tra l’altro è un genere che non amo particolarmente...
E fu davvero una bella sorpresa! Al di là del fatto che amo la psicologia e quindi tutto ciò che gli gira intorno, trovo davvero interessante la tematica trattata, anche se il film in effetti non inventa niente, si limita a raccontare un esperimento realmente accaduto.
Nonostante questo è stato impossibile per me non immedesimarmi nella situazione, chiedendomi di volta in volta come mi sarei comportato io al posto di questo o quel personaggio.

Il film è girato molto bene, poichè si centra in maniera molto fredda e acritica sull’esperimento in sè, lasciando allo spettatore il compito di farsi un’opinione su ciò che sta accadendo.

Nel ragionare su questo film, la cosa che colpisce come un pugno nello stomaco è il fatto che il quadro che ne esce non solo non è idilliaco, ma è tristemente realistico. Non siamo di fronte alla visione del mondo e/o dell’umanità di un autore di letteratura, ma siamo di fronte ai numeri e alle conclusioni di un esperimento reale.

L’uomo dotato di potere, derubato della propria identità e quindi dal senso di responsabilità, si comporta in modo estremamente istintivo, cercando con ogni mezzo di esercitare il proprio potere sul più debole. Niente di meno di ciò che fa un animale.

A questo punto non posso fare a meno di pensare a come si traduce veramente tutto questo all’interno del nostro reale sistema carcerario...

Quella che segue è una lettera che un vero detenuto mandò al Prof. Zimbardo, lo psicologo che condusse il reale esperimento:

"Sono stato da poco liberato dopo trentasette mesi di cella di isolamento. Mi è stato imposto il silenzio assoluto e se appena sussurravo qualcosa all’uomo della cella accanto venivo picchiato dalle guardie, cosparso di una sostanza chimica, sbattuto in una cella ancora più piccola, denudato e costretto a dormire su un pavimento in cemento, senza coperte, senza lavabo e senza water… E’ giusto che i ladri vengano puniti, e non giustifico il fatto di rubare sebbene io stesso sia un ladro. Una volta libero, non credo che tornerò a rubare. Questo non vuol dire però che mi abbiano riabilitato. Adesso penso solo ad uccidere – uccidere quelli che mi hanno picchiato e trattato come se fossi un cane. Spero e prego per il bene della mia anima e per la libertà futura, spero di riuscire a sconfiggere l’amarezza e l’odio che giorno dopo giorno mi corrodono l’anima. Ma so che non sarà facile".

Immagino che ogni commento sia inutile.

Gli attori sono tutti in gamba e il mutamento caratteriale di ognuno di loro è descritto e raccontato in modo impeccabile.

Lo consiglio assolutamente.


"Rinchiudi un qualunque animale abbastanza a lungo; il più forte, mangerà il più debole, è così che vanno le cose..."

La sottile linea rossa


Un cast ricchissimo, composto da star che hanno accettato anche parti minori pur di comparire. A venti anni di distanza dal suo ultimi film, Terrence Malick, uno dei registi più pignoli di sempre, dà vita ad un capolavoro unico nel suo genere.

Novembre 1942, Seconda Guerra Mondiale. La compagnia fucilieri Charlie è impegnata nella conquista di Guadalcanal, nelle isole Salomone, dove ha la sede un’importante base aerea. Per arrivarci, però, bisogna conquistare una collinetta presidiata dai giapponesi, e difesa con le unghie e con i denti, in quella che sarà una battaglia molto sanguinolenta. Quante vite umane costerà quel piccolo pezzo di giungla?

Terrence Malick è uno di quei registi che si sono inconsapevolmente costruiti attorno un alone di mistero tale da renderlo affascinante a prescindere. Personaggio schivo, riservato, totalmente estraneo ai riflettori e alle interviste, nonostante abbia diretto pochissimi film è considerato un assoluto fuoriclasse del mestiere.

Certo, raccontata così la trama assomiglia molto a quella di un qualunque altro film di guerra, ma non è cosi. “La sottile linea rossa” non è un film di guerra, ma un film che parla di guerra. Vi basti sapere che per i primi 40 minuti non parte neanche un colpo...

A differenza dei vari "Salvate il soldato Ryan", "Apocalypse Now", "Platoon", ecc. questo è un film dove non è la guerra la protagonista. I protagonisti sono più che altro i risvolti psicologici che la guerra provoca nei suoi partecipanti. Le riflessioni, i pensieri, anche esistenziali, che si ritrova a fare un ragazzo di venti anni costretto ad andare al fronte a guardare l'orrore in faccia. E soprattutto a sparare ad un ragazzo di vent’anni esattamente come lui, ma che le circostanze hanno piazzato dall’altra parte della barricata.

Non c’è un personaggio principale, e non esiste il classico schema protagonista-antagonista. Esiste solo una carrellata di personaggi, alcuni dei quali sono solo un po’ più importanti degli altri. Il film si centra molto sul loro vissuto, sulle loro personalità, lasciando parlare la loro anima in un contesto estremo come quello di una delle guerre più sanguinose della storia.

Per chi cerca l’azione, lo sconsiglio vivamente. Il film risulta complessivamente lento, ma in questo caso si tratta di un pregio. Il montaggio originale contava circa sei ore di pellicola. Con i tagli effettuati, sono state notevolmente ridotte le parti di molti personaggi e addirittura eliminati alcuni dei protagonisti, tra cui Bill Pullman, Mickey Rourke, Viggo Mortensen, Gary Oldman e Martin Sheen, che infatti non compaiono nei titoli di coda.

Un film senza eroi, come del resto non lo è la guerra, ma una lunga riflessione sul senso che ha tutto questo. Si attacca, si spara, si uccide, si muore...ma tutto questo perchè? A che serve? Qual è il nostro ruolo in un sistema del genere?

A separare la lucidità dalla follia esiste solo una sottile linea rossa.

Candidato a 7 Oscar, non ha portato a casa neanche una statuetta. Vergognoso.

Le musiche sono di Hans Zimmer.

Soldato Witt: "Lei non si sente mai solo?"

Sergente Edward Welsh: "Solo in mezzo alla gente."

La ricerca della felicità


Con chi me la devo prendere? Con i registi italiani o con il pubblico italiano? Muccino va in America e fa due film veramente belli e "diversi". Poi torna in Italia e fa il seguito de "L'ultimo bacio". Mi viene da pensare che allora è il pubblico italiano a volere questo nostro cinema sempre uguale a se stesso.

Bah...comunque.

Chris Gardner cerca di sbarcare il lunario vendendo uno stock di scanner medici per le ossa. Solo e con un figlio a carico si trova in condizioni economiche disastrose. Tuttavia decide di frequentare per qualche mese un corso gratuito per iniziare a lavorare in una grande azienda. Forte della sua grande determinazione andrà avanti nel suo obiettivo, pur di guadagnarsi la felicità che crede di meritare e di garantire una vita decente a suo figlio.

Questo film dimostra che di gente di talento ne abbiamo. Quello che non abbiamo sono i mezzi per fargli fare film decenti. "La ricerca della felicità" è veramente un bel film, commovente e intelligente, aiutato da un Will Smith che finalmente ha la possibilità di dimostrare quello che vale, a differenza delle varie puttanate che ha fatto in passato (tipo "IO, ROBOT" o "Indipendence Day", tanto per dirne un paio). E soprattutto è girato BENE, checcavolo!

Curiosità: il film è ispirato ad una storia vera, quella del vero Chris Gardner. Nella scena finale, quest'ultimo passa vicino a Will Smith (interpretando un semplice passante) e i due si guardano.
"Non permettere mai a nessuno di dirti che non sai fare qualcosa. Neanche a me. Ok? Se hai un sogno tu lo devi proteggere. Quando le persone non sanno fare qualcosa lo dicono a te che non la sai fare. Se vuoi qualcosa, vai e inseguila. Punto."

La fabbrica di cioccolato


Dite a Tim Burton di sbizzarrirsi con la fantasia e lui sarà capace di portare sullo schermo una tale quantità di personaggi stravaganti, colori, musiche e trovate visive che quasi vi pentirete di averglielo chiesto :D

Willy Wonka è il più famoso cioccolataio del mondo. Vive richiuso nella sua fabbrica castello, da cui ogni giorno escono decine di camion ricolmi di dolci. Un giorno decide di nascondere dentro cinque tavolette di cioccolata altrettanti biglietti d’oro, che daranno diritto ad un’esclusiva visita della fabbrica...

Devo dire che “La fabbrica di cioccolato” è stato l’ultimo film di Tim Burton che mi sia piaciuto veramente tanto. Da lì in poi è andato un po’ in calando...

“La fabbrica di cioccolato” è un remake di “Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato” del 1971, famoso film natalizio che io però non ho mai visto. Anche in questo caso quindi mi atterrò al giudizio solo di ciò che ho visto, senza fare confronti.

La cosa bella di Tim Burton è che quando si guarda un suo film è un po’ come rivederseli tutti. A fronte di un messaggio morale sempre molto semplice e carico di buoni sentimenti (il che non è necessariamente un male, anzi), ciò che rimane una costante, quasi fosse un marchio di fabbrica, sono i suoi personaggi, degli emarginati problematici che cercano, quasi sempre invano, di ritagliarsi uno spazio nella società dei “normali”.

Altro marchio di fabbrica è la cura estetica di ogni scena del film, giocata spesso sugli eccessi (se una costruzione dev’essere maestosa, lo sarà in modo imponente; se una scena dovrà esprimere felicità, tutto sarà colorato; se va rappresentata una situazione di povertà, tutto sarà completamente decrepito; se un personaggio dovrà essere viziato, lo sarà in modo insopportabile; ecc.) e sui forti contrasti. I cinque bambini che compiranno il viaggio dentro alla fabbrica castello saranno, ognuno a modo suo, un eccesso stereotipato rispetto a ciò che rappresentano.

Le musiche sono del sempre grande Danny Elfman, sempre perfettamente in linea con il look gotico dei film di Tim Burton, bravissimo a curare anche le scene più musical e che è ormai diventato un marchio di fabbrica del visionario regista.

Oltre al sempre bravo Johnny Depp, e a Freddie Highmore nel ruolo del protagonista bambino, una menzione d’onore se la merita Deep Roy, l’indianino che interpreta la parte di tutti i 165 Oompa Loompa che compariranno sullo schermo.




"Un giorno mi sono detto, ehi, se la televisione può spezzettare in milioni e milioni di piccolissimi pezzettini e spararli veloci nell'aria e ricomporli da un'altra parte, perché io non posso fare lo stesso col cioccolato?!"

La banda degli onesti


A rappresentare il cinema comico italiano una volta avevamo la coppia Totò e Peppino. Oggi che coppie abbiamo? Boldi e De Sica?

Antonio Bonocore è un portiere, entrato casualmente in possesso di un kit per stampare banconote da diecimila lire. Incastrato in una vita nella quale con difficoltà si arriva a fine mese, cede all’idea di stampare qualche banconota, quel tanto che basta per sistemarsi un po’. Chiederà aiuto a due inquilini, Giuseppe Lo Turco, tipografo e Cardone, pittore. Ma come si metteranno le cose quando il figlio di Antonio, finanziere assegnato alla sezione falsari, verrà trasferito a Roma?

Come spesso accade nei film di Totò, il cognome dei personaggi è tutto un programma. Bonocore di nome e di fatto dunque, che dopo un primo cedimento dettato dalla solita condizione di precarietà italiana, alla fine farà prevalere lo spirito onesto di un uomo che pur tra mille difficoltà, preferisce vivere la sua vita onestamente.

In questo film nasce il fantastico sodalizio tra Totò e Peppino, che durerà diversi film e che darà vita ad una delle coppie più divertenti del nostro cinema. Divertenti, nonchè imitate, poichè tantissime coppie in futuro ricalcheranno più o meno le stesse dinamiche, con il furbetto faccia da schiaffi (Totò) contrapposto al burbero bonaccione (Peppino).

Come spesso accadrà, anche in questo film regna l’improvvisazione, cosa che rende i loro film particolarmente unici e genuini, al punto che spesso ad ogni “STOP” del regista seguiva un applauso di tutta la troupe divertita dalle gag.

Come buona parte dei film di Totò, anche questo lo conosco praticamente a memoria e ciò nonostante ogni volta lo rivedo sempre con grande piacere.

Sceneggiatura di Age & Scarpelli, gli stessi de “I soliti ignoti”, film dai tratti molto somiglianti a questo e autentico capolavoro della commedia italiana.

Mi spiace finire per fare il solito nostalgico, che esalta la comicità e il cinema di un tempo paragonandolo, alquanto impietosamente, alla comicità di oggi. Ma è forse colpa mia se oggi si preferisce investire sul cinepanettone?

"Portieri si nasce, non si diventa."

Kill Bill vol. 1 e 2


Benchè la locandina sia riferita al vol.1 di Kill Bill, il commento che segue è riferito a tutti e due i volumi, che vanno visti come se fossero un unicum, spezzato in due parti per una scelta commerciale della produzione e NON di Tarantino.

Kill Bill è uno degli ultimi esponenti del cinema exploitation, genere che ha avuto il suo boom negli anni '70/'80, e che è andato via via in calando (un altro recente esponente è Grindhouse, guarda caso sempre di Tarantino).

Una donna soprannominata "La sposa" (il nome sarà rivelato solo nel vol.2) ha come obiettivo quello di cercare e uccidere cinque persone, tra cui un certo Bill... Ogni altra spiegazione verrà ricostruita dallo spettatore piano piano, man mano che i pezzi del puzzle verranno messi in scena.

Kill Bill è senza dubbio la summa del cinema di Tarantino. Presenta infatti tutte le caratteristiche tipiche dei suoi film: dialoghi ben scritti e barocchi (ormai detti "tarantiniani"), musiche stupende, decostruzione temporale e divisione in capitoli, cinema di serie B, sequenze anime, omaggi ai filmetti giapponesi anni '70, citazioni, tanto ma tanto "pulp". Il tutto portato all'ennesima potenza.

I due volumi si distinguono molto per il registro, e per questo tutto sommato non ho trovato male l'idea che fossero due film separati. Il vol.1 è molto freddo e improntato all'azione. "La sposa" viene presentata come una macchina da guerra che non ha neanche un nome (anzi ogni volta che viene pronunciato, si sente un BEEEEP di censura...geniale :) ). Il secondo volume invece è nettamente diverso, meno azione e decisamente più "romantico".

Ci sono una marea di scene che meriterebbero di essere citate, per le musiche, per la ripresa, per il dialogo...vedetevelo, è un vero capolavoro!

Nota di merito a tutto il cast, davvero notevole.
"Per chi è considerato guerriero, durante il combattimento l'annientamento del nemico deve essere l'unica preoccupazione. Reprimete qualsiasi emozione o compassione. Uccidete chiunque vi ostacoli, ancorché fosse Dio, o Buddha in persona. Questo è il cuore dell'arte del combattimento."

K-PAX


A volte tra i film passati in sordina ce n’è qualcuno che merita veramente.

Spunta dal nulla nel mezzo della Stazione Centrale di New York e afferma di essere un alieno proveniente dal pianeta K-Pax, entrato nel corpo di un umano. Si tratta di Prott (Kevin Spacey). Naturalmente viene rinchiuso in un manicomio dove verrà preso in cura dal Dr. Powell (Jeff Bridges). Non sarà un caso facile però, poichè Prott risulta essere davvero molto convincente.

Il film si basa tutto sulla continua lotta tra la voglia di credere in qualcosa di diverso e la necessità di affidarsi alla razionalità. Dunque Prott è un vero alieno o solamente un poverino uscito un po' fuori di testa? Difficile da dire, poichè Prott darà prova di entrambe le cose...

Ampliando il discorso in generale, il film affronta due temi principali. La difficoltà di inserimento nella società di chiunque abbia una visione delle cose diversa è, purtroppo, una realtà. Viviamo secondo degli schemi mentali e di vita che definiamo “normali” solo perchè vissuti dalla maggior parte delle persone. Ma cosa è “normale”? Ed è giusto che una persona dalla sensibilità diversa sia automaticamente considerata “anormale” o addirittura da curare?

K-Pax affronta inoltre quello straordinario meccanismo di difesa che attua il cervello umano per nascondere i ricordi più dolorosi, rimuovendoli o trasformandoli, e del modo in cui si ripercuote tutto questo sul nostro essere.

Il film, passato forse un po' inosservato, secondo me è molto carino, dal finale piuttosto aperto e interpretato da due attori che mi piacciono molto.

"Voi umani... Talvolta è difficile capire come abbiate potuto sopravvivere."

Io sto con gli ippopotami


Da un sondaggio fatto su internet qualche anno fa, Bud Spencer e Terence Hill sono risultati (con circa 500000 voti per uno) i personaggi più amati del mondo dello spettacolo italiano, surclassando di migliaia di voti nomi come Benigni, Sordi, Gassman, ecc.

Slim e Tom sono due fratelli e vivono in Africa. Tom organizza safari in giro per la savana, caricando i fucili dei turisti a salve, senza che questi ne siano consapevoli. Lo spirito ambientalista e animalista di Slim, però, porterà entrambi ad entrare in conflitto con Jack Ormond che sta cercando di fare affari trafficando animali.

Benchè il risultato del sondaggio sopracitato possa sorprendere a prima vista, è innegabile che Bud & Terence rappresentino una delle coppie meglio riuscite del nostro cinema. Ogni volta che un loro film passa in tv, e ne passano spesso, non posso fare a meno di guardarlo, divertendomi come se fosse la prima volta. Dirò di più: i loro film sono l'unica cosa in grado di farmi lasciare la tv accesa. Sarà per le surreali scazzottate, sarà per l'ironia e la semplicità, sarà per la complementarietà dei personaggi (Bud burbero, ma buono; Terence furbo e faccia da schiaffi), sarà per le orecchiabilissime musichette...

La matrice di questo film è quindi pari a tutte le altre, per cui se siete amanti della coppia, amerete anche questo.

La vena animalista me lo rende poi particolarmente simpatico.

In questo film tra l'altro c'è la migliore scena "'ndo se magna" della storia del cinema, quando Slim e Tom vengono invitati a pranzo da Ormond, il quale spera di trovare un accordo con i due.

"Il mondo non si divide fra bianchi e neri, ma fra ricchi e poveri."

Inception


Vi è mai capitato di sognare...poi di svegliarvi e di rendervi conto che in realtà state ancora sognando? Sognare di sognare...a me è capitato spesso.

Dominic Cobb è un ladro di informazioni, ma di quelli che non le rubano da un caveau di una banca o da una base militare, ma le rubano direttamente dalla mente di chi le possiede entrando nei suoi sogni. Viene contattato da un certo Saito, un ricco industriale, che gli chiede l’operazione inversa: l’innesto di un’idea. La vittima è il figlio del suo rivale, destinato ad ereditare l’impero del padre morente. L’idea da innestare è la convinzione che tale impero vada smembrato, così che Saito possa avere campo libero. Quando si dice “Viva la sportività”...
Cobb accetterà poichè è ricercato negli USA per omicidio e Saito ha la possibilità di farlo ritornare a casa.

Confesso che erano anni che non vedevo un film così bello e ben costruito. Trama (abbastanza) originale, intricata, intelligente. Dopo quel capolavoro, meno conosciuto, chiamato “Memento”, Christopher Nolan torna ad esplorare la mente umana, questa volta affrontando uno dei temi più belli ed affascinanti, per lo meno per me: i sogni.

E lo fa con cognizione di causa, riportando sullo schermo cose con le quali, almeno a me, capita di scontrarmi la notte: sogni dentro ai sogni, tempi dilatati, cadute improvvise (“calci”) che ti svegliano, mondi surreali ma che in quel momento ci sembrano perfettamente reali e logici, ecc.

Cast assolutamente ottimo. Capeggiato da Leonardo Di Caprio, attore che non smetterò mai di lodare, il cast conta anche delle altre ottime interpretazioni, tra cui Ellen Page (Arianna) e Joseph Gordon-Levitt (Arthur).

Belli anche gli effetti speciali, che offrono scene davvero visivamente spettacolari, ma mai invadenti. La lotta ingaggiata da Arthur nel corridoio dell’albergo è da rimanere a bocca aperta.

C’è un po’ di Matrix, c’è un po’ di Existenz...

Forse uno dei più bei film degli ultimi 10 anni! Da vedere con mente sgombra e attenta. Se per una prima mezzora buona non capite niente, non temete, è normale!



"Nessuna idea è semplice quando devi impiantarla nella mente di un'altra persona."