mercoledì 25 gennaio 2017

In linea con l'assassino


Se camminando per strada sentiste squillare una cabina telefonica, rispondereste?

Stu è un impresario di starlettes di serie B, costruito interamente su bugie e la cura della propria immagine. Ogni giorno, verso la stessa ora, chiama l’amante da una cabina telefonica. Capita però che dopo la telefonata, un giorno, senta il telefono in cabina squillare. Alzare la cornetta gli costerà molti guai...

La semplicità spesso paga, e secondo me Hollywood se ne dimentica troppo spesso.

“In linea con l’assassino” è centrato quasi interamente su Colin Farrell intrappolato dentro una cabina telefonica, tenuto sotto tiro da un misterioso serial killer cecchino. I punti di forza di questo film sono molteplici.

Tanto per cominciare l’originalità della storia, che riesce a mantenere vivo l’interesse e alta la tensione pur con un ambientazione fissa. Il tutto aiutato da una durata decisamente sotto la media (1 ora e venti minuti di film). Gli attori sono convincenti, in particolare Colin Farrell, che tiene in piedi quasi da solo l’intera pellicola, e che riesce a trasmettere efficacemente il passaggio da ragazzotto rampante e strafottente a vittima impaurita e pentita. Forest Whitaker sempre grande come al solito (adoro questo attore). Vorrei poter dire due parole anche sul serial killer, ma per tutto il film se ne sente solo la voce, che nella versione italiana è chiaramente doppiato. Quindi a questo punto i miei complimenti li faccio alla voce nostrana :)

E se proprio ne abbiamo bisogno, possiamo anche andare a trovare la morale, che è una condanna (certo un po’ severa...in fondo c’è molto di peggio) all’uomo falso, che si copre di maschere per inseguire il suo opportunismo e arrivismo, schiavo del successo e della cultura dell’immagine.

Il film è stato girato in soli dieci giorni e in ordine cronologico, probabilmente per esaltare il crescendo di emozioni che l’attore avrebbe dovuto efficacemente trasmettere. Beh, missione compiuta.


"Sai come si dice... più in alto sale la scimmia, meglio si vede il culo!"

Il silenzio degli innocenti


Forse non tutti sanno che il primo film in cui il dott. Hannibal Lecter compare non è questo, ma "Manhunter - Frammenti di un omicidio", passando tuttavia quasi inosservato.

Prova a riproporcelo Jonathan Demme con questo film, riuscendoci perfettamente, poichè da allora, merito anche dell'interpretazione da Oscar di Anthony Hopkins e della bravissima Jodie Foster, nasce un'icona e una pietra miliare nel genere dei thriller riguardanti gli assassini seriali.

Clarisse è un'agente speciale dell'FBI, giovanissima e poco più che recluta, e sta indagando su un omicida seriale che uccide giovani ragazze un po' in carne. Nelle indagini si farà aiutare da uno psichiatra, il dott. Hannibal "The Cannibal" Lecter, internato in un manicomio criminale per manie di cannibalismo. Tra i due nascerà un'affascinante rapporto di collaborazione/ammirazione.

Bellissimo thriller dedicato agli omicidi seriali, cupo e ricco di suspance. 5 premi Oscar, grande successo di pubblico, e alcune scene qui e lì che sono da antologia.

Ogni volta che lo guardo mi mette i brividi per l'ambientazione e per come riesce a trasmettere il senso di assoluta follia nella quale un uomo può ritrovarsi rinchiuso.
Le sequenze all'interno del manicomio criminale sono agghiaccianti, cosi come lo sono le scene in cui si vede il killer intento a svolgere meticolosamente il suo "lavoro".

"Uno che faceva un censimento una volta tentò di interrogarmi: mi mangiai il suo fegato con un bel piatto di fave e un buon Chianti..."

Il Signore degli Anelli - La compagnia dell'anello


Capolavoro nel genere fantasy.

Frodo Baggins, hobbit abitante nella Contea, finisce per caso invischiato in una vicenda di anelli...uno in particolare, che pare debba assolutamente essere distrutto poichè appartenuto al cattivo di turno: Sauron. Per farlo dovrà recarsi a Mordor, in casa del nemico e gettarlo nel vulcano. Non sarà facile arrivarci, ci vorranno circa 12 ore di film facendo trekking a piedi nudi per tutta la Terra di Mezzo, tra decine di terre di cui è impossibile ricordare i nomi, ma fortunatamente non sarà solo...verrà formata una variegata compagnia per aiutarlo.

Peter Jackson, il sosia (fisico) di Kubrik, realizza egregiamente una fantastica trasposizione di un romanzo tutt’altro che facile da tradurre in film: “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. In particolare questo “La Compagnia dell’Anello” racconta la prima parte del libro, diviso in tre parti.

Tantissimi nomi, tra personaggi e posti, tantissime (forse troppe) scene al rallenty, tantissimi minuti di film, per raccontare una storia che secondo me è impossibile che non piaccia. Io non ho letto tutto il libro (e quel poco che ho letto l’ho fatto DOPO la visione del film, cosa che non bisognerebbe fare) e confesso di essere rimasto completamente rapito da questa trilogia, sia per la complessità della storia, sia per il carisma dei personaggi, buoni o cattivi che siano.

Le musiche sono di Enya, l’unica che con il suo stile inconfondibile poteva interpretare l’epicità del racconto.

Uno dei principali punti di forza di questo film è, secondo me, rappresentata dagli effetti speciali. Il realismo di certe creature e di certe scene di massa è tale da rimanere con gli occhi sgranati. Allo stesso tempo però non se n’è abusato. Gli Uruk-hai ad esempio sono attori truccati... Secondo me, da questo punto di vista, dopo “Il Signore degli Anelli”, non c’è altro di nuovo da vedere.

Per non tradire la mia personale passione per le spade, al muro ho appeso Andurill :)

Curiosità: Nicholas Cage era stato contattato per interpretare Aragorn, ma ha dovuto rifiutare per motivi familiari. Ringraziamo tutti insieme i motivi familiari di Nicholas Cage.


"Conosco la metà di voi solo a metà e nutro per meno della metà di voi metà dell'affetto che meritate."

Il Padrino


Universalmente riconosciuto come uno dei grandi capolavori del cinema internazionale, Il Padrino è un film che in qualche modo ci (a noi italiani) tocca in modo particolare, poichè in fondo parla anche un po’ di noi. E di una realtà che, ahimè, caratterizza ancora buona parte del nostro paese.

Don Vito Corleone, detto “il padrino”, è il boss di una famiglia malavitosa di origine siciliana e insediatasi ormai da diversi anni negli Stati Uniti. Alla sua morte, il figlio Michael accetta, seppur con riluttanza, di portare avanti gli “affari” di famiglia, scoprendo un animo che forse nemmeno aveva mai sospettato...

Nato da un romanzo di Mario Puzo, curatore anche della sceneggiatura del film, Il Padrino è un film epico, quasi nostalgico, che si presenta come un affresco storico di una certa America che fu, ma anche di una certa Italia che è ancora. Per certi versi molto simile a “C’era una volta in America”.

Benchè i personaggi principali siano tutti dei “cattivi”, uno degli aspetti messi maggiormente in risalto è il valore della famiglia e del senso di appartenenza ad essa. Il rispetto per le figure più anziane, il senso del valore di passare insieme ai propri affetti i momenti più importanti, nel bene e nel male.
Questa è una cosa che negli USA di oggi si è probabilmente persa (parlo in virtù di ciò che ho letto sull’argomento, non essendoci vissuto), ma che nell’Italia di oggi ancora c’è, soprattutto al Sud, dove del resto ha origine la mafiosa famiglia dei Corleone.
Il tutto verrà inevitabilmente messo a contrasto con la crudeltà e la spietatezza con cui la famiglia Corleone porta avanti i propri affari, calpestando qualunque ostacolo si presenti dinnanzi, come se in fondo si trattasse di un lavoro come un altro.

Per me che sono italiano poi, è impossibile vedere un film del genere senza pensare che nella nostra storia recente riusciamo ad esportare solo il peggio di noi. Le mafie italiane trovarono l’eldorato negli USA del proibizionismo e non c’è da sorprendersi se oggi andando all’estero l’associazione Italia-Mafia sia quasi unanime.

Grande interpretazione da parte di tutti gli attori. Un cast oggi grandioso ma fatto di attori che allora erano ancora agli inizi della carriera.

Bellissima e famosissima anche la colonna sonora del nostro Nino Rota.


"Perché un uomo che sta troppo poco con la famiglia non sarà mai un vero uomo."

Il nome della rosa


Confesso di non aver (ancora) letto il libro di Umberto Eco da cui questo film è tratto. O meglio, avevo iniziato a leggerlo sull'aereo, mentre andavo in Brasile, ma la mia distrazione me l'ha fatto lasciare nel cassettino del sedile durante il viaggio d'andata...dopo si e no 20 pagine.

1327 d.c. In un’abbazia benedettina del Nord Italia deve svolgersi un importante concilio francescano, ma il convento viene sconvolto da alcuni inquietanti delitti. Guglielmo Da Baskerville, giunto sul luogo per partecipare al concilio, viene pregato dall’abbate di indagare sul mistero vista la sua esperienza passata nella Santa Inquisizione. Nelle sue indagini verrà aiutato da Adso Da Melk, suo novizio.

Benchè non si tratti di una trasposizione fedele, Jean-Jacques Annaud realizza un film davvero molto bello e coinvolgente. Il racconto si muove lungo due binari paralleli: da una parte si tratta di un thriller ben congeniato, che offre il giusto livello di suspance, aiutato sicuramente anche dall’atmosfera cupa e selvaggia di un rigido inverno medievale; dall’altro offre una dura critica di come una visione integralista e manipolata della religione sia stata capace di alimentare negativamente uno dei momenti più bassi della storia dell'uomo.

L’imponente biblioteca resta il simbolo di un uomo in grado di costruire un vero tempio di conoscienza e allo stesso tempo tenerne lontano il popolo, poichè un popolo ignorante è più facilmente malleabile e controllabile.

E benchè il cristianesimo sia ormai lontano (?) dagli integralismi dei secoli bui, ci sono ancora religioni/culture che non si allontanano molto da quello che viene mostrato in questo film.

Ottimo Sean Connery, perfetto nella parte del mentore.

Nei titoli di testa non è stato scritto “tratto dal romanzo di Uberto Eco”, ma “tratto dal palinsesto de Il Nome Della Rosa di Umberto Eco”. Si tratta infatti di una trasposizione libera e autonoma, ma effettuata comunque con il consenso dell’autore.

Dice Umberto Eco: "Annaud ha deciso di definire nei titoli di testa il suo film come un palinsesto dal Nome della rosa. Un palinsesto è un manoscritto che conteneva un testo originale e che è stato grattato per scrivervi sopra un altro testo. Si tratta dunque di due testi diversi. Ed è bene che ciascuno abbia la sua vita. Annaud non va in giro a fornire chiavi di lettura del mio libro e credo che ad Annaud spiacerebbe se io andassi in giro a fornire chiavi di lettura del suo film. Posso solo dire, per tranquillizzare chi fosse ossessionato dal problema, che per contratto avevo diritto a vedere il film appena finito e decidere se acconsentivo a lasciare il mio nome come autore del testo ispiratore o se lo ritiravo perché giudicavo il film inaccettabile. Il mio nome è rimasto e se ne traggano le deduzioni del caso."

Curiosità: Franco Franchi era stato scelto per il ruolo di Salvatore (il frate gobbo), ma poichè si rifiutò di rasarsi i capelli, il ruolo fu dato ad un allora sconosciuto Ron Perlman.

Vediamo infine di dare una interpretazione (non mia) della famosissima frase che nel film compare prima dei titoli di coda (naturalmente ripresa dal libro): stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Si tratta di una locuzione latina variazione di un verso del De Contemptu Mundi di Bernardo Cuniacense, un monaco benedettino del XII secolo. Bernardo intendeva sottolineare come di tutte le cose grandi del passato (grandi città, personaggi, principesse...) alla fine non ci rimanga nulla che un nome. Il verso originale recitava stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus [della Roma antica ci resta solo il nome].


"La sola prova dell'esistenza del diavolo, è il nostro desiderio di vederlo all'opera."

Il miglio verde


Devo dire che i film tratti da libri/racconti di Stephen King sono solitamente molto apprezzabili (Le ali della libertà, Shining, La zona morta, Stand By Me, ecc.) e questo non fa eccezione, anzi direi che è assolutamente un bellissimo film. Regia (e sceneggiatura) di Frank Darabont che aveva già diretto il bellissimo “Le ali della libertà”.

1935, Carcere di Cold Mountain, USA. Nel braccio della morte, il braccio E, vi lavora Paul Edgecombe. Insieme ai suoi colleghi hanno soprannominato il corridoio che porta dalle celle alla sedia elettrica “Miglio Verde”: “miglio” poichè si tratta simbolicamente dell’ultimo miglio percorso nella vita di un condannato a morte e “verde” poichè il pavimento è color cedro appassito.
Paul e i suoi uomini conducono la sua attività di secondino nel rispetto dei condannati, trattandoli umanamente, ma la vita del braccio viene sconvolta da due nuovi arrivi: una nuova guardia carceraria finita lì grazie a raccomandazioni varie e un nuovo condannato, molto molto particolare.

Il tema di fondo è la pena di morte, vissuta non solo dal punto di vista della vittima, ma anche del carnefice e della pietà che quest'ultimo prova nei confronti di chi, seppur sbagliando, è pur sempre un altro essere umano.

C'è però anche un altro tema, legato alla paura dell'uomo per il diverso, anche quando questo è positivo. Ma su questo non anticipo niente altro.

Ottimo cast, capeggiato dal sempre bravissimo (e visibilmente ingrassato...) Tom Hanks. Nota di merito va a Doug Hutchison che interpreta uno dei “cattivi” più sadici della storia del cinema, capace di arrivare a fine pellicola suscitando un odio profondo anche nello spettatore più distaccato. Resistere alla tentazione di tirare tutto il cartone di pop corn contro lo schermo ogni volta che compare in scena è quasi impossibile.

Quattro nomination all’Oscar e neanche una statuetta vinta.

Un film che vi strapperà più di una lacrima. E se non ve le strappa...siete degli insensibili, ecco!!! :D


"Non sono più sicuro di cosa sono sicuro."

Il labirinto del fauno


Quello che non mi piace di molti spettatori è che si aspettano sempre di poter catalogare un film in un genere ben preciso. Quando non ci riescono, vanno in crisi e se la prendono con il film dicendo "non mi è piaciuto.". A me invece i film così, un po' fuori dal comune, un po' fuori dagli schemi, mi piacciono molto: mi danno l'impressione di aver appena visto qualcosa di nuovo.

Spagna, 1944. Terminata la guerra civile spagnola, Carmen si trasferisce insieme alla figlia Ofelia nella casa del nuovo marito, il capitano Vidal. Ofelia, disturbata dalla disumanità di Vidal (un crudele fascista al soldo di Franco) trova rifugio in un labirinto nascosto in mezzo al bosco circostante e governato da Pan, un fauno che le confessa di essere la reincarnazione della loro principessa. Per riconquistare il suo regno, la bambina dovrà superare tre prove...

Questo bel film di Guillelmo Del Toro è uno storico molto realistico, un po' splatter, ma anche un po' fantasy. Anzi, decisamente parecchio fantasy. Esegue infatti continui salti tra la realtà della guerra civile spagnola al mondo fantastico e onirico di una innocente bambina, che non sopportando gli orrori della guerra, si rifugia in un mondo popolato da fauni, fate e mostri di varia natura.

Fantastico sì...ma anche spaventoso, e infatti non è certo un film per bambini.

Ha anche un altro pregio, ovvero è un fantasy che non è stato fatto ad Hollywood, e si vede subito: è privo di americanate, il che significa che si tratta di fantasy che può essere preso sul serio.

Vidal: "Non la capisco. Perchè non mi ha obbedito?"
Ferraira: "Perchè obbedire senza pensare, così, istintivamente, lo fa solo la gente come lei."

Il favoloso mondo di Amelie



Nel mare di filmacci che ogni anno invadono le nostre sale cinematografiche, ogni tanto escono fuori delle piccole perle che ti lasciano a bocca aperta. "Il favoloso mondo di Amelie", o per gli amici semplicemente "Amelie", è uno di questi.

Amelie è una ragazza molto semplice, cresciuta un po’ in solitudine senza essere andata a scuola, lavora come cameriera e si è creata un suo mondo fatto di cose semplici. Un giorno trova casualmente dietro una mattonella del suo bagno una scatolina, appartenuta presumibilmente a qualcuno che aveva abitato in passato quell’appartamento. Farà di tutto per cercare di restituire l’oggetto al suo proprietario e questo sarà la spinta per dare vita ad una vocazione: aiutare gli altri. Durante il suo percorso incontrerà Nino, un ragazzo molto particolare...

Già dai primi minuti, quando ci viene descritta da una voce fuori campo la famiglia di Amelie, capiamo che il film ha qualcosa in più...ci si concentra molto sui gusti dei personaggi, più che su ciò che fanno, impostando la simpatica descrizione su un semplice “A Tizio piace....a Tizio non piace...”.

Alla fine dei conti, si tratta di una storia d'amore...ma raccontata con originalità, leggerezza (da non confondere con superficialità). Il personaggio di Amelie è di quelli che non si possono non amare: amante delle piccole cose semplici della vita, è ossessionata dall'idea di far felice il prossimo e vive in un mondo tutto suo, popolato da personaggi che sembrano tutti usciti da un libro di fiabe. Ma anche il film lo è e in tale contesto i personaggi “veri” non sembreranno più normali di quelli inventati da Amelie.

Il tutto condito da un pizzico di fantasia, dalle coinvolgenti musiche di Yann Tiersen e dalla bellissima fotografia dai colori pastello.

Una grande sorpresa, soprattutto se penso che il regista è lo stesso di quell’abominio su celluloide chiamato “Alien: la clonazione”.

Non ve lo perdete, ne vale davvero la pena!

"Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro: lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!"

Il buono, il brutto, il cattivo


Anni di cinepanettoni e film tutti uguali a se stessi mi fanno sembrare strano crederlo, ma c'è stato un tempo in cui il cinema italiano faceva scuola.
C'è stato un tempo in cui immaginare che un regista italiano potesse vincere un oscar non era cosi fantascientifico.
C'è stato un tempo in cui i nostri film venivano presi come fonte d'ispirazione per un intero genere cinematrografico.
Erano i tempi di Sergio Leone, tanto per dirne uno.

In piena guerra di secessione, tre pistoleri si ritrovano casualmente coinvolti nella ricerca di una cassa piena di dollari d’oro sepolta in un cimitero. C’è chi conosce il nome della tomba, c’è chi conosce quello del cimitero, ma nessuno di loro tre conosce entrambe le informazioni. Volenti o nolenti (ma più nolenti direi...) si ritroveranno a spalleggiarsi l’un l’altro pur di arrivare alla meta.

Questo è, secondo me, il film più bello di tutta la carriera di Sergio Leone, oltre ad essere uno dei più bei film mai prodotti dall’industria cinematografia mondiale (tiè, voglio proprio esagerare oggi).

Considerato come il più significativo esponente del genere spaghetti-western (sì, lo so, è un’etichetta ridicola...), “Il buono, il brutto, il cattivo” si inserisce all’interno di una trilogia di cui fanno parte anche “Per qualche dollaro in più” e “Per un pugno di dollari”. Trilogia per l’appunto detta “Trilogia del dollaro”.

Sia a livello di pubblico sia a livello di critica, fu un successo planetario che ancora oggi rimane uno dei più incisivi di sempre. Tutti gli elementi si incastrano tra loro alla perfezione: costumi, scenografie, sceneggiatura, recitazione...e musiche!

Ciò che lo distingue da tanti altri western dell’epoca è l’uso di tre protagonisti (scelta inusuale per l’epoca), scelta felicissima che dà vita a numerosi spunti che mantengono sempre viva l’attenzione, nonostante la lunga durata.

Alcune scene sono entrate di diritto nella storia, come il famosissimo “triello” finale.

Un film da vedere, ma anche da ascoltare, per le famosissime e bellissime musiche di Ennio Morricone che ha saputo tirare fuori dal cilindro un vero e proprio gioiello di colonna sonora. Questo è sicuramente uno degli aspetti che più mi piacciono di questo regista, che ha sempre considerato le musiche come delle protagoniste e non come elementi di semplice contorno.

A mio modo di vedere nessun Western successivo (compreso lo stesso “C’era una volta il West” dello stesso Leone) è mai riuscito ad eguagliare “Il buono, il brutto, il cattivo”. A ben vedere, il genere Western è morto con Sergio Leone.

Da sottolineare infine la presenza di diversi attori italiani, tra cui Aldo Giuffrè e Mario Brega, che danno grande prova di stare nella parte, anche se ci hanno abituati a film di tutt’altri toni.

Capolavoro.

Curiosità: nonostante sia ambientato nel vecchio West statunitense, il film è stato girato in Spagna.

"Non basta una corda a fare un impiccato."

I predatori dell'arca perduta


Classico del cinema d'avventura fantastica ed ennesimo capolavoro figlio degli anni '80.

Un professore universitario, nonchè archeologo dotato di frusta e cappello, parte alla ricerca dell'Arca dell'Alleanza, dove dovrebbero essere riposte le tavole con i Dieci Comandamenti. Ma non è il solo: anche i nazisti, ossessionati dall’occulto, la stanno cercando...

Questo film dà il via ad una saga d'avventura che non ha rivali, dando vita ad un personaggio, Indiana Jones, carismatico e in cui credo tutti noi che all'epoca eravamo bambini ci volevamo immedesimare.

Harrison Ford, guadagnato il successo con la saga di Star Wars, si ritaglia un posto definitivo tra le star di hollywood grazie all’avventuroso archeologo, ruolo che sembra essere stato cucito addosso a lui alla perfezione.

Ricco di azione, avventura, vivace, romantico ma anche carico della giusta ironia che serve per non essere preso troppo sul serio. Questo è il classico film che posso vedere e rivedere fino a conoscerlo a memoria, senza per questo rimanerne mai annoiato.

La sceneggiatura è di George Lucas, la regia è di Steven Spielberg e le musiche sono di John Williams, devo davvero aggiungere altro?
"Guardi questo: non vale niente. Dieci dollari da un venditore per la strada. Ma se io adesso lo prendo e lo sotterro nella sabbia, tra mille anni diventa preziosissimo. Come l'Arca. E gli uomini ucciderebbero per averlo... Uomini come lei e come me."

Highlander - L'ultimo immortale


Ci sono film che andrebbero protetti da eventuali deturpanti seguiti PER LEGGE. Una delle vittime di questo grave buco legislativo è “Highlander” (titolo originale), che gli adattatori italiani, in un impeto di ottimismo poco preveggente, ci tengono a sottolineare essere “- L’ultimo immortale” (sottotitolo italiano).
Mi sfugge il motivo per cui noi italiani dobbiamo aggiungere sottotitoli a film che, in lingua originale, non ne hanno. Ma vabbè.

Connor McLeud, un antiquario, è tenuto sott’occhio dalla polizia perchè sospettato di un omicidio avvenuto nel parcheggio del Madison Square Garden. Alla vittima è stata tagliata la testa con una spada. Ma Connor non è tenuto d’occhio solo dalla polizia; pare che calpesti questa terra da molto, molto tempo...

Questo film dal punto di vista tecnico non è poi certamente un capolavoro. Tuttavia negli anni è riuscito a ritagliarsi un discreto spazietto tra i grandi cult degli anni ‘80.

Nonostante il tema fantastico, “Highlander” si fa notare soprattutto per alcuni spunti di riflessione che offre, come il tema dell’immortalità e della sua effettiva desiderabilità. L’uomo è alla ricerca del classico elisir di lunga vita da sempre, ossessionato dall’idea di sconfiggere l’unica certezza della nostra vita: la morte. Ma è davvero cosi bella l’idea dell’immortalità? Non poter costruire una famiglia, non potersi legare sentimentalmente a nessuno, non poter stringere amicizie (inevitabilmente si vedrebbe tutti quanti morire). Sono questi i problemi con cui si scontra il nostro protagonista, ritrovandosi di fatto esiliato dalla società.

Queste riflessioni e un’atmosfera decisamente romantica, fanno di questo film una pellicola molto meno d’azione di quanto sembri.

Bravi gli attori protagonisti: Christopher Lambert nel periodo migliore, Sean Connery nel perfetto ruolo di mentore/maestro e Clancy Brown perfetto nella sua interpretazione di cattivo di turno.

Una delle cose che sicuramente hanno contribuito al successo del film è la colonna sonora. Le musiche infatti sono tutte quante dei Queen, alcune delle quali sono tra i pezzi migliori del gruppo come “Who Wants To Live Forever”.

Peccato per gli effetti speciali, più degni di un b-movie.

Negli anni successivi sono stati prodotti dei seguiti. Se ne trovate copia, fate quel che va fatto: bruciatela. Di “Highlander” ne deve restare solo uno nel firmamento del cinema.

"Ne resterà solo uno."

Grease


Solitamente non impazzisco per i musical, però ce ne sono alcuni che fanno proprio eccezione e "Grease" è uno di questi.

I motivi sono tre:
  1. La coppia John Travolta - Olivia Newton John è veramente azzeccata. Lui bulletto che si ammorbidisce, lei classica brava ragazza che cerca di uscire dal suo guscio per diventare un po’ più “trasgressive”.
  2. L'ambientazione americana anni '50, che adoro, sia per le musiche, sia per il look, sia per lo spirito di generale ottimismo che si respira.
  3. Le musiche, che nonostante abbia sentito un milione di volte, non mi stancano mai. Orecchiabilissime e vivaci.

I protagonisti di un amore estivo si ritrovano, inconsapevolmente, nella stessa scuola. Nonostante lui si sia innamorato, deve continuare a difendere la reputazione da duro che ha con i suoi amici.

La storia è banale, ma alla fine ha importanza? Il film funziona alla grande ed è pieno di energia e questo è quello che conta.

Le repliche teatrali di Grease si sprecano e questa è solo un'ulteriore conferma di come questo musical abbia mantenuto intatta la sua carica negli anni.

"La via d'uscita è non fermarsi mai!"

Good morning, Vietnam


Chiedete a Robin Williams di dare libero sfogo a tutta la sua parlantina e il risultato che avrete è “Good Morning, Vietnam”.

1965. Adrian Cronauer, disc-jokey di successo, viene chiamato a Saigon con l’obiettivo di condurre una trasmissione radiofonica e tirare su il morale delle truppe. Tuttavia il suo modo di fare estremamente irriverente e anticonformista darà fastidio ai vertici, e svolgere il suo compito sarà tutt’altro che facile.

Sembra una storia già vista, in mille altri modi e in mille altri posti: quando la satira comincia a pestare i piedi a qualcuno sono sempre dolori.

Ispirato ad una storia vera, “Good Morning, Viernam” è un bellissimo film ambientato nel periodo della guerra in Vietnam, ma che in effetti di guerra ha molto poco. A parte qualche sequenza, inaspettata al punto da colpire lo spettatore come un pugno nello stomaco, il film in generale si concentra meno sull'azione in battaglia e più sul fronte della libertà d'informazione.

I toni si alternano tra la commedia e il drammatico e tutto il film si centra sul contrasto tra questi due generi, tra l’ironia dei personaggi o della trasmissione condotta da Cronauer e la drammaticità della guerra.

Ciò che però rende questo film davvero molto pregevole è l’interpretazione di Robin Williams, indubbiamente la migliore di tutta la sua carriera. In effetti non credo che ci potesse essere un attore che avrebbe saputo fare di meglio. Cronauer è un disc-jokey brillante, veloce, dotato di parlantina e capacità di improvvisare battute fulminanti e in questo Robin Williams è stato davvero bravissimo, soprattutto perchè anche lui ha improvvisato molto.

A questo punto, un plauso se lo merita anche il doppiatore italiano; stare dietro a Williams non dev’essere proprio semplice...

"Logica militare? Non noti una certa contraddizione?"

Ghostbusters 2


Ok ok, sicuramente è meglio il primo, bla bla bla. Purtroppo ad Hollywood regna sovrana l’idea che un successo debba necessariamente essere seguito da un sequel che cerchi di spennare ancora un po’ il pubblico finché è ancora caldo.

E tutto sommato certe volte non mi dispiace che sia cosi.

I Ghostbusters stanno vivendo una fase discendente di popolarità. Tuttavia, nonostante il solito iniziale atteggiamento denigrante da parte di tutti, saranno gli unici che potranno salvare New York dal solito soprannaturale cattivo di turno: il fantasma di un vecchio tiranno della Carpazia, che sta diffondendo il suo seme maligno attraverso una poltiglia rosa che scorre come un fiume nelle fogne della città.

Nonostante alcuni piccoli cambiamenti operati per rendere il film più simile all’omonimo cartone animato, è fortunatamente prevalso il motto “squadra che vince non si cambia”. Stessi attori, stessi personaggi, stessa ironia (benchè sia Dan Aykroyd sia lo stesso regista Ivan Reitman fossero inizialmente contrari al progetto).

La storia non è certamente il massimo che si potesse sperare, ma quello che conta in un film del genere è, secondo me, lo spirito, il quale fortunatamente rimane quasi completamente inalterato, lasciando quindi in secondo piano le carenze narrative.

Così come lo era stato il primo, anche questo Ghostbusters 2 è brillante, basato principalmente sulla goliardia che sugli effetti speciali o la componente horror. Forse vive un po’ di rendita derivata dal primo, ma certamente è finito per diventare un cult anche questo. Se vi è piaciuto il primo, guardare il secondo è un passaggio obbligato. In un modo o nell’altro, ho finito per imparare a memoria anche questo...

Tempo fa c’era in cantiere l’idea di fare un terzo episodio. Spero che il progetto naufraghi al più presto, perchè vedere i ghostbusters più vecchi di vent’anni non sarebbe proprio il massimo. Certi cult è bene che rimangano lì dove sono.

"Hei, io sono un elettore! Non dovreste essere voi a vendermi il fumo e a leccarmi il popò!?"

Ghostbusters


In che genere lo vogliamo catalogare questo capolavoro di Ivan Reitman? Horror? Commedia? Fantascienza? Ghostbusters è una delle tante dimostrazioni che il cinema anni ‘80 non ha rivali.

Peter Venkman, Raymond Stantz e Egon Spengler sono tre amici, scienziati che lavorano presso l’Università e sono appassionati di paranormale. Cacciati per scarsa serietà nel lavoro, vengono chiamati dalla Biblioteca dove pare che si sia materializzato un ectoplasma. L’incontro sarà lo spunto per mettere su un’agenzia di “Acchiappafantasmi” con l’obbiettivo di ripulire New York dai fantasmi.

E’ veramente difficile riuscire a parlare di Ghostbusters con oggettività. Tanto per cominciare si tratta di un film del 1984, quindi appartiene alla mia infanzia e, come tutti i film di allora, l’impronta che ha lasciato dentro di me va ben più oltre che il valore del film in sè.

Come se non bastasse nel corso degli anni si è ritagliato un posto nell’Olimpo dei cult, circondandosi di sequel, trasposizioni animate, gadget, fumetti, divenendo di fatto intoccabile. Scene da antologia, improbabili e altisonanti paroloni (“vapore a erranza di quinta classe”, “dispositivo di stoccaggio”, “residuo ectoplasmatico”....), la colonna sonora, il logo...tutto di Ghostbusters ha fatto il giro del mondo almeno una ventina di volte.

Sapiente mix di fantascienza, horror e commedia, con netta prevalenza di quest’ultima, il film scorre in un attimo, tra personaggi ottimamente caratterizzati e interpretati, effetti speciali di tutto rispetto per l’epoca e in generale una linea narrativa davvero divertente.

Curiosità: Il ruolo che è andato assegnato a Bill Murray era stato inizialmente scritto per John Belushi, morto prematuramente.

Se non avete mai visto Ghostbusters siete colpevoli e vi consiglio di rimediare quanto prima al misfatto!

"Gozer il gozeriano? Buonasera!"

Full Metal Jacket


Grande film di Stanley Kubrik, apparentemente sul Vietnam, ma soprattutto antimilitarista, che prende di mira, tramite l'eccesso, il fanatismo dei marines americani.

Il film si potrebbe dividere in due atti, in maniera abbastanza netta. Nella prima parte viene raccontata la fase di addestramento di alcuni ragazzi che partecipano ad un corso di otto mesi per diventare dei marines. Il Sergente Maggiore Hartman seguirà l’addestramento in modo piuttosto duro.
Nella seconda parte invece si racconta uno spaccato di guerra sul campo. Il soldato “Joker” esce dal campo di addestramento e viene arruolato come giornalista per la rivista militare. Gli verrà chiesto di seguire i suoi compagni per scrivere la cronaca di ciò che succede.

Kubrick scende sul terreno di guerra e lo fa per descrivere la guerra e deridere i suoi protagonisti e il loro assurdo linguaggio. Gli uomini vengono disumanizzati e trasformati in macchine non pensanti, ma solo addestrati ad eseguire ordini, per combattere la nemesi americana del XX secolo: il comunismo.

Sono stati girati molti film sul Vietnam, alcuni anche molto pregevoli (Apocalypse Now, Platoon, Vittime di guerra, ecc.), ma nessuno secondo me raggiunge le vette di Full Metal Jacket, poco concentrato sulla descrizione, ma molto concentrato sulla critica.

Per la prima mezzora vi scapperà più di una risata: il sergente addestratore è una macchietta. La sua rudezza e la sua inflessibilità sono portati all’eccesso fino a diventare quasi comici, al punto da confodere le idee allo spettatore (“Ma parlano sul serio, o è un film comico?”).
Poi, però, non si ride più.

Curiosità: l'attore che interpreta il famoso Sergente Hartman era un vero addestratore dei marines, chiamato da Kubrik come consulente. Nel vedere un video in cui questo insulta i suoi allievi, Kubrik si è talmente divertito che gli ha chiesto non solo di interpretare lui stesso quel ruolo, ma di scriversi anche i dialoghi da solo!

"I morti sanno soltanto una cosa: che è meglio essere vivi."