martedì 24 gennaio 2017

Duel


In soli tredici giorni l’allora venticinquenne Steven Spielberg realizza un film entrato nella storia e che gli spiana la strada del successo.

David Mann è un commesso viaggiatore, costretto ad un viaggio di lavoro molto lontano da casa. Mentre percorre con la sua automobile una di quelle classiche strade americane lunghissime che attraversano il deserto, verrà preso di mira da un’autocisterna che cercherà in tutti i modi di farlo andare fuori strada e ucciderlo.

Quello che ho appena scritto è più o meno il racconto di tutto il film. Pochi dettagli conosciamo del nostro protagonista. Meno che mai del cattivo di turno che addirittura non ha neanche un volto. In effetti i vetri scuri dell’autocisterna la fanno apparire quasi una creatura vivente a se stante (significativo il fatto che la sua inevitabile “morte” alla fine sarà accompagnata da un lamento-rumore preso da un film di serie B del passato su mostri simili a Godzilla), decisa nel suo intento omicida apparentemente senza motivo. Anche il movente di tutto non c’è: il mostro uccide perchè sì.

Il giovane Spielberg riesce a realizzare, con pochissimi mezzi, un thriller on the road davvero ben fatto, che alimenta tensione ad ogni minuto che passa. L’ambientazione poi contribuisce a creare la classica atmosfera da uomo solo alle prese con un problema vitale, che sarà ripresa tantissime volte in tanti altri film di successo. Elemento originale del genere: il tutto avviene alla luce del giorno.

E pensare che inizialmente il film era destinato alla TV. L’enorme successo ha “costretto” il regista ad aggiungere qualche minuto e a trasferirlo nelle sale cinematografiche, risquotendo un enorme successo.

Da vedere assolutamente, se non altro per vedere com’è nata una stella.

“Non si può mai dire, non si può mai dire. Uno crede che certe cose siano abbastanza naturali: come per esempio guidare la macchina senza che qualcuno cerchi di ammazzarti. E invece tutto a un tratto qualcosa cambia e per mezz'ora della tua vita perdi ogni contatto con il mondo civile e ti senti come se fossi di nuovo un selvaggio nella giungla.”

Dracula di Bram Stoker


Francis Ford Coppola decide di intitolare l'ennesimo film sul vampiro più famoso della letteratura includendo il nome dell'autore del libro. Questa scelta, a suo dire, è dovuta alla volontà di sottolineare i legami e la fedeltà al testo, ma paradossalmente poi così non è.

1462. Il cavaliere rumeno Vlad, fedele a Dio e alla Chiesa, parte in battaglia contro i turchi. Credendolo morto, sua moglie, Elisabetta, si suicida per la disperazione. In realtà la notizia era falsa e Vlad, trovando morta la sua amata, rinnega coloro per i quali aveva rischiato la vita e dai quali sente parole di condanna per la moglie in quanto suicida. Rinnegando Dio e la Chiesa, diventa un non-morto, un vampiro.
Alla fine del XIX secolo, Dracula riconoscerà nella moglie di un giovane avvocato la reincarnazione di sua moglie e farà di tutto per riaverla. Ma non sarà cosa facile, anche perchè il docente universitario, nonchè esperto di vampirismo, Abraham Van Helsing farà di tutto per impedirlo.

Non amo particolarmente il genere horror, meno che mai quello su i vari mostriciattoli che si sono di volta in volta avvicendati sullo schermo. Vampiri, licantropi, Frankenstein, ecc....non è roba per me. Eppure questo Dracula di Coppola ha qualcosa di completamente diverso dagli altri che lo rende un film da vedere.

In effetti il fatto che il protagonista sia proprio Dracula è abbastanza marginale, poichè questo film, sebbene ricco di elementi horror, è anche e soprattutto una storia d'amore. Un amore che supera le difficoltà del tempo e dello spazio, da parte di un uomo, un guerriero, diventato un mostro per amore e che sarà disposto ad attraversare "gli oceani del tempo" per ritrovarlo.

Il tutto condito da un atmosfera molto particolare, sia nei costumi, sia nelle scenografie, sia nel trucco, tanto da dare un tocco onirico e suggestivo al tutto.

Splatter, romanticismo, erotismo...tenuto tutto insieme da un regista di quelli bravi.
Bravissimi gli attori, soprattutto Gary Oldman e Anthony Hopkins. Merita almeno una visione.
"Voi, spero, mi scuserete se non mi unisco a voi, ma ho già cenato e non bevo mai... vino."

Django Unchained


Ogni volta che esce un nuovo film di Tarantino, se c'è una cosa che odio è la vagonata di gente che pur odiandolo va comunque a vedere i suoi film, credo a questo punto per il puro gusto di poterlo criticare negativamente, perchè in fondo prendere un regista universalmente riconosciuto come un talento e sbertucciarlo un po' (spesso in maniera aprioristica) è evidentemente molto "cool".
A me piace, quindi non rompetemi le palle, se non vi piace guardate altro!

1858, Texas. Il dottor King Schultz (Christoph Waltz), cacciatore di taglie ed ex dentista tedesco, libera dalla schiavitù Django (Jamie Foxx) poichè questo è l'unico in grado di individuare i fratelli Brittle a cui Schultz sta dando la caccia. Con il tempo però tra i due nascerà un'amicizia, che porterà Schultz ad aiutare Django a ritrovare sua moglie, Broomhilda (Kerry Washington), una schiava venduta a Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), un latifondista del Mississippi.

Leonardo Di Caprio che recita in un film di Quentin Tarantino. Per me questo era già più che sufficiente per cacciare fuori i miei 8,50 Euro.

Django Unchained è un omaggio (e non un remake) al film Django di Sergio Corbucci del 1966. Non a caso Franco Nero (il protagonista originale) fa una breve comparsata anche in questo di Tarantino, come omaggio.

E così, dopo averci girato attorno per anni, ecco che Tarantino ci propone un western, genere a lui tanto caro, proponendo tra l'altro un argomento tabù per gli americani e che il regista voleva affrontare da tempo: lo schiavismo.
Grande estimatore di Sergio Leone e in generale degli spaghetti western nostrani, era già diverso tempo che il buon Quentin esprimeva la volontà di girarne uno e ormai lo aspettavamo al varco.
Il risultato è un gran bel film. Certamente non il suo migliore, ma comunque un gran bel film. Lo stile è sempre lo stesso: attingere a piene mani al genere b-movie anni 70/80, nei temi, nelle inquadrature (le veloci zoomate su ogni nuovo protagonista che compare sono una perfetta emulazione dello stile di quegli anni), nei personaggi. Le citazioni poi si sprecano.
Come al solito dialoghi molto ben scritti (a mio avviso i dialoghi dei film di Tarantino non hanno eguali) e musiche scelte con molto gusto. Stavolta manca la deframmentazione temporale. Ne risulta quindi un film lineare in modo classico, esattamente come fece con Jackie Brown.

Il cast è spettacolare. Bravo Jamie Foxx nel suo ruolo da novello Sigfrid che fa di tutto per liberare la sua bella Broomhilda. Quasi irriconoscibile Samuel L. Jackson, alla sua quinta collaborazione con il regista. Leonardo Di Caprio bravissimo come al solito. Ormai non ci spendo neanche più parole per questo attore che da anni inanella un ruolo azzeccato dietro l'altro. Quando vincerà un Oscar sarò finalmente un uomo contento (Aggiornamento del 24/1/2017: ora sono un uomo contento!).
Ma veniamo a lui: Christoph Waltz. Questo austriaco fino a poco tempo fa semi-sconosciuto è un vero mattatore. Venuto alla ribalta per la sua splendida interpretazione (vinse un Oscar) di Hans Landa in Bastardi Senza Gloria, in questo secondo film spadroneggia alla grande. In effetti si potrebbe dire quasi che gran parte del fascino di questo film ruota attorno a Schultz, al punto che quando non è in scena si ha la sensazione che il film abbia un calo. Forse l'aver riproposto un personaggio cosi somigliante al precedente potrebbe essere un po' un'arma a doppio taglio, perchè all'uscita del cinema la sensazione è stata quella di aver assistito a Bastardi Senza Gloria 2. In effetti poi, indagando un po', vengo a sapere che con Bastardi Senza Gloria si è aperta una nuova trilogia, di cui questo Django è il secondo film.

Sia come sia il film merita. Non è certamente il migliore di Tarantino, ma rimane comunque una spanna sopra alla media di tutto ciò che il cinema propone annualmente.
E Tarantino si conferma ancora una volta un grande regista, capace dopo quasi vent'anni di attività di non deludere.

Curiosità:
[SPOILER]
Nella scena in cui Candie sbatte i pugni sul tavolo, dopo aver scoperto le vere intenzioni di Django e Schultz, si ritrova con le mani sporche di sangue. Di Caprio nell'impeto della recitazione si è realmente ferito rompendo un bicchiere, ma preso dalla parte ha continuato a recitare. Tarantino ha girato un'altra versione della stessa scena con Di Caprio con la mano bendata, ma per omaggiare la straordinaria performance dell'attore, alla fine ha tenuto la prima versione.
Tanto di cappello a Leo.
[/SPOILER]

"Mi piace come muori."

Diaz - Don't clean up this blood


Quello a cui ho assistito al cinema la sera in cui sono andato a vedere questo film, è uno spettacolo agghiacciante.

Siete impressionabili? Vi dà fastidio il sangue o la violenza? Beh...sti cazzi, vedetelo lo stesso, perchè un film del genere fa parte della nostra (triste) storia recente e andrebbe proiettato nelle scuole.

I fatti della scuola Diaz a Genova, almeno sommariamente, sono noti a tutti (spero). Se non è così, documentatevi. Il film non fa altro che raccontarli, dopo aver accuratamente studiato carte processuali, visionato materiale e intervistato testimoni.

Eviterò commenti su quanto successo quella notte (e oltre), perchè non è questa la sede. Oltre al fatto che credo che i commenti siano del tutto superflui. Chi giustifica, anche solo di striscio, quello che è successo, è IN MALAFEDE. Punto.

Detto questo, c’è da dire che il film è veramente ben fatto. Non c’è un unico protagonista. Si tratta di un collage di storie, raccontate in maniera temporalmente decostruita, che hanno come unico punto in comune quella triste e violenta nottata. Alcune scene sono notevoli, se si considera che stiamo parlando di cinema italiano (c’è una veduta aerea di Genova di notte con una carovana di macchine della polizia che sfrecciano che fa invidia alle megaproduzioni americane). Poi scopro che il film non è stato prodotto in Italia....ahhhhh, ecco, me pareva.

L’unico appunto negativo che faccio è che alla fine di tutto manca il vero responsabile: la politica. Dopo la carrellata di funzionari, poliziotti, manifestanti e studentelli massacrati, mi aspettavo di vedere sotto la luce dei riflettori qualche politicante. Perchè alla fine del film si esce dal cinema con la voglia di spaccare la testa al primo malcapitato poliziotto che si incontra, ma c’è una responsabilità “dall’alto” ben più grave ed influente, che il film si guarda bene dall’indicare.

Allo scorrere dei titoli di coda e alla riaccensione delle luci, la sala era ammutolita, non c’era una persona che fiatava. In compenso ho visto tanti, troppi occhi lucidi.

In prossimità dell’uscita nelle sale, il Ministero dell’Interno divulga una circolare per gli agenti di polizia dove viene fatto presente che per il rilascio di interviste e la partecipazione a convegni o dibattiti è necessaria l'autorizzazione da parte dell'Ufficio Relazioni Esterne della Polizia di Stato.

Che schifo di paese.


"Avete fatto una grande cazzata."

Corto circuito


Cosa succederebbe se un robot dovesse prendere vita? Ce lo racconta, ponendosi la domanda realisticamente, "Corto Circuito".


Numero 5 è un robot costruito per l'esercito dalla NOVA Robotics. Durante una dimostrazione di utilizzo, mentre è collegato alla presa elettrica per la ricarica delle batterie, viene colpito da un fulmine. L'incidente genera in lui una scintilla vitale, rendendolo vivo. Ovviamente nessuno ci crede, per cui cercano in tutti i modi di prenderlo per smontarlo e trovare il guasto. Ma dal momento che smontare = morire, Numero 5 scappa...


Questo è uno di quei film che mi fa rimpiangere il cinema anni '80, quando gli effetti speciali erano al servizio della storia e non un esercizio di budget, per cui si curava molto più la sostanza che l'apparenza.


Il film in questione è piuttosto leggero, classificabile principalmente come una commedia, più che un film di fantascienza. La forza di questo film, però, risiede proprio nel personaggio. Il robot infatti ha appena preso coscienza del mondo che lo circonda, e ha la stessa curiosità e ingenuità di un bambino, ma una velocità di apprendimento e di ragionamento tipica di un computer. Al di là delle divertenti situazioni che si vengono a creare, parte della sua amabilità lo si deve alla sua forma. Ispirandosi vagamente ad ET, la forma del volto, gli occhioni e soprattutto le ciglia mobilissime riescono a dare al personaggio un carisma ed un'espressività unici, al fascino dei quali è difficile sottrarsi.


La storia è ben scritta, non annoia mai. E' non manca quel tocco di antimilitarismo che ci sta sempre bene...


Ne è stato fatto un seguito, che seppur un po' criticato ed effettivamente non all'altezza del primo, è comunque molto carino.


Curiosità: chi ha visto Wall-E avrà notato l'evidente somiglianza...
"Numero 5 non è robot. Numero 5 è...vivo!"

Contact


Siamo soli nell’universo? Possibile che tra le tante migliaia di stelle, di pianeti e di sistemi sparsi per l’universo, il nostro è l’unico pianeta in cui si sia sviluppata la vita come la conosciamo? Questa domanda assilla l’uomo da sempre, al punto che di tentativi di entrare in contatto con eventuali altre forme di vita ne sono stati fatti diversi...

Ellie è una scienziata appassionata di radiocomunicazioni. Abituata a giocare fin da bambina con una ricetrasmittente regalatagli dal padre, da adulta si diletta ancora nella stessa attività, ma su distanze decisamente più elevate. E’ infatti parte del progetto SETI con l’obiettivo di rintracciare segnali provenienti dallo spazio e di natura intelligente.
La ricezione di un segnale di questo tipo sconvolgerà non poco la sua vita nonchè il mondo intero. Pare infatti che una forma di vita intelligente si sia messa in contatto con noi direttamente da Vega...

Contact è un film che tocca tanti "tasti", tanti temi su cui vale la pena riflettere.

Il primo è la guerra tra la ricerca scientifica cosiddetta "pura" e gli interessi privati. La ricerca pura è quella che ha permesso ai tanti scienziati dei secoli scorsi di effettuare tutte le scoperte delle quali il progresso di oggi è figlio. E ciò nonostante trova sempre più difficoltà nel sopravvivere, a scapito della ricerca finanziata privata, guidata quindi principalmente da interessi commerciali.

Il secondo tema è l'eterna lotta tra scienza e fede religiosa, di qualunque colore essa sia. Se infatti la scienza accoglierebbe con entusiasmo una simile scoperta, non altrettanto si può dire per la religione che sull’unicità dell’uomo ha sempre basato i suoi presupposti. Mal tollerò l’idea che la Terra non fosse al centro dell’universo, figuriamoci...

Il terzo è dettato da una domanda che ci facciamo ormai da tanto tempo: siamo soli nell'universo?

Ottima regia di Robert Zemeckis (Forrest Gump, Ritorno al futuro, …) e ottima Jodie Foster.

"L'universo è un posto molto vasto, è più grande di ogni cosa che chiunque abbia mai immaginato finora. Se ci fossimo solo noi, sarebbe uno spreco di spazio... giusto?"

Collateral


Los Angeles, la città dove vivono milioni di persone ma nessuno si conosce. Abitando in una grande città credo di rendermi conto di cosa significhi.
Film molto particolare, questo di Michael Mann.

Siamo a Los Angeles. Max, un’autista di taxi, durante un turno di notte accoglie sulla sua auto un nuovo cliente, Vincent, che vuole essere portato in giro tutta la notte in cambio di un lauto pagamento. Verrà fuori ben presto che si tratta di un sicario alle prese con una serie di omicidi da compiere, ma liberarsene per Max sarà tutt’altro che semplice.

Il film si svolge interamente nell’arco di una notte e per motivi a me completamente ignoti i racconti che si svolgono nell’arco di un tempo molto ristretto mi hanno sempre affascinato.

“Collateral” è un continuo cambio di ritmo. Di fatto si tratta di un action-thriller, ma alterna continuamente momenti con ritmo lento e molto (ben) dialogati, per lasciare lentamente il posto all'azione, decisamente ben congeniata.
Il tutto condito da un po' di sana filosofia, mentre sullo sfondo scorre una Los Angeles notturna, immensa, illuminata e bellissima, quasi da cartolina. Complice di questo spettacolo visivo è anche l’ottima fotografia, coadiuvata dall’uso massiccio del digitale che all’epoca non era ancora usatissimo.
In effetti in molti momenti si ha la sensazione che l’aspetto action sia più una cornice che serve solo a dare spunto al regista per mettere a confronto i due personaggi, un cinico freddo e calcolatore e un sognatore emotivo, un buono e un cattivo, sebbene ognuno dei due abbia almeno una punta dell’altro. Ed entrambi sono completamente immersi in una realtà enormemente più grande di loro, che fa quasi apparire senza senso tutto quello che fanno, nel bene e nel male.

Gli attori si comportano tutti egregiamente, soprattutto Tom Cruise che dimostra di essere un buon attore, interpretando una parte a lui molto insolita. Il suo personaggio è sicuramente il centro di tutto il film. E’ lui quello che offre spunti di riflessione, che ti sorprende con la frase che ti fa riflettere sul senso della tua vita e che due minuti dopo ti sveglia dal tuo torpore esistenziale sparando in fronte ad un tizio senza farsi il minimo scrupolo. Un personaggio cupo e freddo, ma che dà per il tutto il film la sensazione di essere molto più di quel che si vede.
Ottimo anche Jamie Foxx, che per questo film si è guadagnato una nomination agli Oscar (come anche Tom Cruise).

In effetti è assai difficile riuscire a decidere cosa di questo film sia più coinvolgente. Io uscii dal cinema davvero soddisfatto!

"Mai sentito parlare del Rwanda? Decine di migliaia di cadaveri prima che cali il sole, mai così tanti morti in così poco tempo dall'epoca di Nagasaki e Hiroshima, hai battuto ciglio Max? Ti sei iscritto ad Amnesty International? Oxfam? Save the Whale, Greenpeace o roba simile? No. Io faccio fuori un grassone e tu ti fai venire un attacco isterico."

Brazil


Se avete amato "1984" di Orwell, non potrete non rimanere affascinati da "Brazil", palesemente ispirato al romanzo.

Ambientato in una realtà distopica, racconta la storia di un operaio, Sam Lawry, che cerca di mantenere un barlume di umanità in un mondo dominato dalla burocrazia e dal controllo.
Ossessionato dalla presenza di una bellissima ragazza all'interno dei suoi sogni, la incontra per caso anche nella vita e decide così di rintracciarla.

La prima volta che ho visto questo film non l’ho apprezzato moltissimo. Realtà sconclusionata e finale decisamente ermetico, il tutto senza l’aiuto di un background come il libro di Orwell.
L’ho rivisto dopo qualche anno e soprattutto dopo aver letto il libro ed ecco che il film ha acquistato tutto un altro sapore.

Benchè la storia sia diversa, "Brazil" può essere considerato come un "1984" parallelo. Non a caso Terry Gilliam, il regista, voleva intitolarlo "1984 e 1/2", in omaggio sia al romanzo di Orwell, sia al film "8 e 1/2" di Fellini.

Visionario come tutti i film di Terry Gilliam, ironico e profetico, è un film assolutamente da non perdere.

E quando si parla di moduli da riempire e di burocrazia, ah! quanto ricorda la nostra Italia...
"In una società libera l'informazione deve penetrare ovunque."

Blood Diamond


Uno dei problemi del capitalismo occidentale è aver perso completamente di vista cosa c’è dietro ogni singolo acquisto che facciamo. Ad esempio quando viene comprato un diamante, si ignora, o spesso si fa finta di ignorare, quanto possa essere insanguinato.

Danny Archer è un mercenario invischiato nel contrabbando di diamanti tra il Sierra Leone e la Liberia. Conoscerà casualmente Solomon, un pescatore, prelevato a forza dal suo villaggio e messo a pescare diamanti in miniera, mentre la moglie è stata deportata e il figlio rapito e inserito nell’esercito dei ribelli locali. Solomon diventerà improvvisamente molto importante per Danny, non appena quest’ultimo verrà a sapere che l’uomo ha rinvenuto un rarissimo e preziosissimo diamante rosa. Gli proporrà dunque uno scambio: il diamante in cambio dell’aiuto a ritrovare la famiglia. A loro si unirà la giornalista Maddy Bowen, alla ricerca di informazioni per scrivere un articolo di denuncia sul traffico dei diamanti.

Il film denuncia proprio il commercio dei diamanti dal Sierra Leone verso l'Inghilterra, che finisce per finanziare la locale guerra civile e la violazione dei diritti umani ai danni di uomini (usati come schiavi per estrarre le pietre preziose), donne (spesso stuprate e uccise) e bambini (usati come baby soldati).
Un film duro, di denuncia, che partendo da un problema locale, apre gli occhi verso un problema di carattere globale, poichè c’è sangue versato in molto di ciò che compriamo noi occidentali, senza purtroppo rendercene conto.

Uno dei punti di forza del film è rappresentato dagli attori. Leonardo Di Caprio è, ancora una volta, perfettamente nel ruolo, interpretando il cinico mercenario in maniera impeccabile. Ennesimo applauso per lui che da diversi anni ormai non fallisce un ruolo che sia uno, risultando in effetti il mio attore preferito. Mi chiedo solo cosa aspetti l’Accademy ad assegnargli un Oscar... (Pervenuto! Aggiornamento del 24/1/2017)
Bravi anche Jennifer Connelly (anche lei una delle mie attrici preferite) e Djimon Hounsou, abituato ormai al ruolo dello schiavo, che offre un’interpretazione meritevole di una nomination.

Il ritratto di un’Africa martoriata da secoli di saccheggio occidentale e lotte intenstine, che schiaccia lo spettatore in una condizione di totale impotenza verso una terra che “Dio ha abbandonato molto tempo fa”.

"Tu penserai che io sia il diavolo, ma credimi, è solo perché sono vissuto all'inferno e voglio uscirne!"

Big Fish


Una cosa che a Tim Burton viene proprio bene è quella di raccontare favole. Questo film non è una favola, ma un film SULLE favole e sul valore che hanno. Ed è uno dei più bei film del regista.

Edward Bloom ama raccontare la sua vita, avventurosa e ricca di elementi fantastici: giganti, streghe, boschi incantati. E lo fa talmente bene e da cosi tanto tempo che ormai tutti credono alle sue storie. Il figlio però, William, non apprezza questa caratteristica del padre. Non credendo a nulla di ciò che racconta, di fatto si sente di non conoscerlo.
L'occasione si presenta quando suo padre, ammalato, sta per morire.

Questo film è un inno alla fantasia. E chi se ne importa se un tocco di colore rende poco credibile una storia, l'importante è che sia bella e che lo spirito rimanga comunque intatto.

Bello, colorato, commovente.


"Morire è la cosa peggiore che mi sia capitata."

Bastardi senza gloria


Al cinema tutto è permesso, anche cambiare la storia.

Seconda Guerra Mondiale. Il tenente Aldo Raine e la sua squadra, i cosiddetti "Bastardi", tutti ebrei, vanno scorrazzando per la Francia in cerca di nazisti da uccidere e a cui prelevare lo scalpo. Con la complicità di una famosa attrice organizzeranno un attentato per uccidere Hitler e tutti i gerarchi nazisti a lui più vicini. L'attentato avrà luogo durante una première all'interno di un cinema di proprietà di un'ebrea francese, che cercherà anche lei la sua vendetta...

Torna in campo Tarantino ed è di nuovo capolavoro. A parte i flashback (qui ridotti al minimo sindacale), il resto è Tarantino puro con i suoi soliti ingredienti magici.
Negando ciò che la storia ci insegna, Tarantino ci racconta una realtà alternativa, un "come sarebbe stato se", e lo fa in modo spettacolare. Il tutto condito da quel pizzico di sadismo che normalmente potrebbe non piacermi, ma quando si tratta di nazisti ci posso tranquillamente passare sopra. Del resto al cinema si può...e non sarà un caso se il luogo dell'attentato è proprio un cinema. Perchè, ahimè, è solo lì che muoiono i cattivi e vincono i buoni.

I dialoghi sono ai massimi livelli, si parla in quattro lingue diverse (tedesco, inglese, francese e italiano) e si fanno particolarmente sofisticati e accattivanti ogni volta che entra in scena il colonnello Hans Landa, detto Il cacciatore di ebrei, personaggio che trasuda carisma da tutti i pori. L'attore che lo interpreta, l'austriaco Christoph Waltz, ha vinto un Oscar meritatissimo per questo ruolo. Ogni volta che fa capolino, c'è da far tremare le gambe.

Storicamente le cose non andarono cosi, ma...sognare non costa niente, no?!
Aldo Raine dirà "Questo potrebbe essere il mio capolavoro."...che sia un pensiero di Tarantino?

"Nelle pagine della storia, di tanto in tanto, il fato si ferma a guardarti e ti tende la mano."

Babel


Qualcuno potrebbe trovare Alejandro Gonzalez Inarritu un po’ ripetitivo se dopo “21 grammi” ci propone questo “Babel”. Però a me il suo stile piace, mi piacciono le tematiche che affronta, mi piace il suo modo di raccontarle, e soprattutto anche io, come lui, adoro le coincidenze!

Due coniugi, che vivono una vita di coppia ormai in crisi, durante un viaggio in Marocco rimangono vittime di un incidente: mentre sono su un pulman in mezzo al deserto, lei viene colpita da un colpo di fucile.
Il colpo è partito a due ragazzini, figli di pastori, che stanno “innocentemente” giocando con l’arma.
La donna di servizio della coppia sta disperatamente cercando di tornare negli USA dopo aver portato i loro figli ad un matrimonio in messico.
A Tokio una ragazza giapponese sordomuta cerca in tutti i modi di farsi amare, anche adescando uomini molto più grandi di lei.

Quattro episodi apparentemente slegati tra loro, ma uniti da uno stesso tema di fondo: l'incomunicabilità.
Nelle quattro storie raccontate in parallelo, quattro diverse forme di incomunicabilità: c'è quella fisica, di una sordomuta; c'è quella culturale, di una famiglia integralista marocchina; c'è quella linguistica, di una donna messicana che cerca di tornare negli USA e si scontra con i doganieri; c'è quella familiare, di una coppia a cui è rimasto ben poco da dirsi.

Ed ognuna di queste crea una piccola, ma decisiva interferenza nelle altre.

Il regista messicano ha dichiarato: "Sono sempre stato attirato dalle coincidenze e dalle storie parallele. Io vedo la vita come una successione di segmenti; la linearità e la cronologia non mi sembrano in grado di rendere giustizia alla realtà dell'esistenza".

Il film è raccontato con la stessa frammentarietà che caratterizzava “21 grammi”, sebbene qui il set su cui viaggiano le coincidenze è addirittura l’intero pianeta.

Film toccante e che lascia la sensazione di far parte di una gigantesca Babele...

Il ritmo è lento, ma questo a me piace!

"In principio a tutte le genti, di tutte le parti del mondo, il Signore diede un unico idioma. Per loro, nulla di quello che si proponevano era irrealizzabile."

Avatar


James Cameron scrive, produce e dirige uno dei film più costosi e redditizi della storia del cinema, trionfo degli effetti speciali e della tecnica del 3D. Anche se rimane il sapore di qualcosa già vista...

“A Simò, troppo fico Avatar, l’hai visto?”
“No...”
“Praticamente ci stanno questi che scoprono un nuovo mondo, no!? Dove c’è un minerale preziosissimo e loro lo vogliono.”
“Mmmm...sembra...”
“Aspetta, aspetta! Solo che ovviamente non è che possono prendere e attaccare così, quindi cercano una soluzione più diplomatica...e così entra in scena il nostro protagonista, che è ansiosissimo di conoscere usi e costumi dei nativi...”
“Ah sì, ho capito: è Pocahontas, carino!”
“No, macchè, non è Pocahontas, stamme a sentì! C’è lui che è fichissimo, ha lo spirito esploratore, e lo mandano a conoscere i nativi, e cosi lui ci entra in contatto, comincia a conoscere i loro usi e costumi...addirittura si innamora di una dei nativi, che è pure la figlia del capo!”
“Eh....appunto, Pocahontas!”
“No vabbè, ma è diverso, anche lei si innamora, per cui lui sembra entrare a far parte della loro tribù!”
“A me me pare Pocahontas....”
“No, non c’entra niente dai....perchè poi a ‘na certa, siccome questo qui non riesce a portare il risultato a casa, la sua gente decide di passare alla forza bruta e attacca la tribù per prendersi questo minerale! Capito? Quindi....in pratica.... Cazzo, c’hai ragione, è Pocahontas!”

Vabbè, raccontiamo la trama seriamente...
Siamo nel 2154 e una compagnia planetaria terrestre ha deciso che sul pianeta Pandora ci sia una cospiqua presenza di un prezioso minerale che potrebbe risolvere tutti i guai energetici del pianeta Terra. Caso vuole che la maggiore concentrazione di minerale si trovi sotto alcuni punti abitati dai Na’vi, una popolazione locale fatta di esseri umanoidi blu alti oltre tre metri. L’atmosfera non è respirabile, ma la tecnologia fa miracoli. Tramite un meccanismo di simil-transfert è possibile “connettersi” ad un corpo di un Na’vo e manovrarlo come fosse il proprio: un avatar.
Il soldato Jake Sally sfrutterà questa tecnologia per avvicinarsi ai Na’vi e conoscerli, cercando una via diplomatica per risolvere la questione, ma la compagnia non ha cosi tanta pazienza da aspettare...

Diciamoci la verità: Avatar è Pocahontas (e non solo) rimescolando un po’ le carte. Il che lo fa sembrare una trovata un po’ paraculetta, perchè prendere una storia e ri-raccontarla cambiando pianeta e qualche elemento qui e lì è un’operazione che non saprei come altro definire. Anche l’idea degli avatar, se vogliamo sembra un po’ rubacchiata da Matrix.

Il film rimane comunque un must da vedere, se non altro per lo spettacolo cui sottoporrete i vostri occhi. Certo va detto che questo film andrebbe visto al cinema, e non su un 32 pollici casalingo, ma rimane comunque un’opera visivamente straordinaria, una vera orgia per gli occhi.

Apprezzabile sicuramente la vena antimilitarista, anticapitalista e forse anche un po’ ambientalista, ma la cosa rimane abbastanza nascosta dall’eccesso di spettacolo.

Morale della favola, mi è piaciuto? Sì, però.
E’ indubbiamente BELLO, ma il mio è un aggettivo che si ferma unicamente alla dimensione puramente estetica. Pubblicizzato come il film che avrebbe rivoluzionato la storia del cinema, esaltato come per pochi altri film è successo, all’uscita dalla sala la mia sensazione è stata quella di aver visto una cosa già vista. Un collage, ben fatto per carità, di idee già viste e sperimentate.

Insomma, Cameron ha voluto battere strade sicure, senza osare come ha fatto invece tante volte in passato. C’è un po’ di Pocahontas, un po’ di Balla coi Lupi, un po’ di L’ultimo samurai...e se vogliamo c’è anche un po’ di Cameron stesso (The Abyss). Insomma, 15 anni per preparare tutto questo sono forse un po’ troppi.

Dategli un’occhiata, ma senza troppe aspettative. La rivoluzione del cinema non parte certo da Avatar.

“Il più forte mangia il più debole, e nessuno muove un dito.”

Arancia meccanica


Capolavoro indiscusso (e discusso) di Stanley Kubrick, senza se e senza ma.

In un prossimo imprecisato futuro, Alex è un giovane a capo di una banda (detti "drughi") che si diletta in furti, stupri, pestaggi e omicidi. Un bel giorno Alex viene arrestato a seguito dell'ennesima aggressione. All'interno del carcere accetta di sottoporsi ad un esperimento scientifico volto all'eliminazione del concetto di violenza dalla testa di un uomo. Questo ne provoca una sorta di allergia al solo pensiero. Una volta uscito dal carcere si ritroverà a subire lui stesso la violenza, senza poter reagire. Finito all'ospedale in seguito ad un tentativo fallito di suicidio, riceverà la visita di un ministro che gli farà un'allettante proposta...

Uno dei paradossi della censura è che poi si finisce per amplificare la notorietà dell'oggetto censurato. E' il caso di Arancia Meccanica, stracensurato in tutto il mondo. Pensate che in Italia la tv lo ha trasmesso per la prima volta solo nel 2007, ben 36 anni dopo l'uscita nei cinema. Addirittura Kubrick ricevette minacce di morte per questo film!

Il motivo di una così accanita censura è dovuto ad un numero molto alto di sequenze violente, dove vengono mostrati pestaggi e stupri. Ma ovviamente il film non è solo questo...

I temi trattati sono molti: lo sbandamento e la perdita di valori "civili" da parte dei giovani; la totale inettitudine dei genitori che non riescono a farsi valere; l'ambizione dei governi al concetto di controllo totale sui cittadini mascherato da tentativo di raggiungere il bene collettivo; la denuncia di una società che promuove il concetto di donna-oggetto (basti pensare ai tavolinetti nel famoso locale)...Fa riflettere che tutto questo, che sembra la descrizione precisa della società di oggi, sia stato raccontato più di 40 anni.

A livello tecnico è un film davvero eccellente.

Le musiche sono eccezionali, e come già aveva fatto per "2001: Odissea nello spazio", Kubrick attinge a piene mani ai grandi classici, in particolare Rossini e Beethoven ("il grande Ludivico Van!") che danno un tono ancora più onirico al film. Memorabile poi la scena dello stupro sulle note di "I'm singin' in the rain" (scelta per altro ideata dall'attore Malcom McDowell).

Le scenografie anche sono molto particolari, con contrasti molto forti: gli esterni dall'aria abbandonata e decadente; gli interni invece sono tutti decorati e colorati di un look anni '60 portato al massimo del barocco.

Kubrick inoltre mette in bocca ai suoi personaggi un linguaggio giovanile, chiamato Nadsat, che è uno slang derivato dall'inglese con molte influenze russe, inventato dallo scrittore Anthony Burgess, autore del libro da cui è tratto questo film.

L'espressione "Clockwork Orange" viene dallo slang londinese, utilizzato per dire "sballato come un'arancia meccanica", indicando qualcuno che, seppur di aspetto normale, magari anche gradevole o rassicurante (come il colore e il succo del frutto), può scattare violentemente da un momento all'altro come se fosse un animale azionato da meccanismi ad orologeria.

L'uomo deve poter scegliere tra bene e male, anche se sceglie il male. Se gli viene tolta questa scelta egli non è più un uomo, ma un'arancia meccanica. (Stanley Kubrick)

Un miscuglio di generi in un film che usa la violenza per esserne un contromanifesto. In definitiva un film da vedere.
"E d'un tratto capii che il pensare è per gli stupidi, mentre i cervelluti si affidano all'ispirazione."