martedì 24 gennaio 2017

Alien 3


Chiariamo subito una cosa: a me Alien 3 (che per l’esattezza si scrive con il “3” come esponente) è piaciuto, e anche parecchio. Sicuramente non è il migliore della saga, ma è comunque di ottimo livello.
Ah, chiariamo subito anche un’altra cosa: la saga di Alien per me termina con questo episodio.

La storia riprende subito dopo la fine del secondo episodio. Ripley, insieme a Bishop, Newt e Hicks sono ibernati in una scialuppa di salvataggio che sta viaggiando verso la Terra. Sfortunatamente un corto circuito impedisce alla navicella di proseguire il suo percorso, per cui si ritroverà a precipitare sul pianeta Fiorina, dov’è sita una colonia penale abitata da 25 detenuti, tutti uomini e di fatto abbandonati a loro stessi in un carcere praticamente autogestito. Nella scialuppa sono tutti morti, tranne Ripley...e un facehugger, che nel giro di poco tempo darà vita ad una piccola colonia di alieni che semineranno il terrore all’interno del carcere.

Ciò che si potrebbe rimproverare a questo terzo capitolo è forse la sfiga perenne che perseguita Ripley, destinata ad avere a che fare questi alieni a quanto pare per tutta la sua vita. In effetti nelle prime stesure della sceneggiatura, non doveva essere lei la protagonista, ma Newt e Hicks, ma tant’è...

Proprio la sceneggiatura è stata la parte più travagliata, poichè è stata rimaneggiata tante volte, passata di mano in mano per vari sceneggiatori e di volta in volta pilotata dalla produzione. Alla fine, alla versione di Fincher sono stati tagliati anche trenta minuti. Non pochi...

Veniamo ora ai punti forti.

Una delle cose che mi è piaciuta di più è stato il contesto creato. Dopo la “caciara” messa in piedi (magistralmente) da James Cameron, si torna a soffrire di claustrofobia. E si torna ad avere a che fare con gli alieni con la sola forza delle mani nude e dell’ingegno. Niente soldati, niente armi. Il posto è piccolo, chiuso, i protagonisti sono pochi e tutt’altro che inclini alla cooperazione, ma dovranno tirare fuori tutto il loro spirito di gruppo per sopravvivere a qualcosa di apparentemente più grande di loro. I fumi e i bollori di un impianto mezzo abbandonato rendono la prigione senza tempo un simil-inferno, o forse un purgatorio nel quale combattere i demoni, l’ultima tappa per i detenuti per poter salvare, se non il corpo, quanto meno la loro anima. La quasi totale mancanza di inquadrature esterne o riferimenti contribuisce a rendere ancora più isolata la realtà in cui Ripley si trova.

Gli alieni subiscono un nuovo step evolutivo per quanto riguarda gli effetti speciali, il che non può che gratificare il pubblico che di episodio in episodio ha sempre cercato di vedere e di sapere “di più”.

La regia è eccellente ed è di un David Fincher (Seven, Fight Club, The Game, Panic Room, Zodiac) esordiente. E il suo esordio direi che si è fatto sentire con il botto. Già in questo film si cominciano a vedere i tratti tipici del suo stile, dagli ambienti cupi e squallidamente abbandonati, alle riprese veloci che corrono lungo tubature e corridoi.

Sfortunatamente però questo terzo episodio non ha goduto di buon successo, anzi è stato duramente criticato. Forse ci si aspettava più spettacolo Hollywood style. O forse le aspettative erano troppe. Io lo trovo decisamente apprezzabile.

“Dunque, vediamo se ho capito bene tenente : è una creatura alta due metri e mezzo con acido nelle vene, uccide a vista ed è piuttosto ripugnante...e lei si aspetta che io creda a tutto questo?”

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