martedì 24 gennaio 2017

Blade Runner


Blade Runner è universalmente riconosciuto come uno dei più bei film di fantascienza tra i tanti che sono stati prodotti. E io mi sento perfettamente d’accordo con questa affermazione. Mi spiace solo rendermi sempre più conto che il Ridley Scott di allora non esiste più da tempo.

Siamo in una distopica Los Angeles, nel 2019. L’inquinamento ha oscurato il cielo, la città è costantemente battuta da una pioggia incessante e calpestata ovunque da una folla multietnica. Chi può permetterselo, ha una vita che l’aspetta nelle colonie “extramondo”, su altri pianeti.
Tra le meraviglie della tecnologia abbiamo i “replicanti”, androidi del tutto simili agli esseri umani, utilizzati principalmente extramondo per lavori che gli umani non possono/vogliono svolgere. Un gruppo di questi però, appartenenti alla recente generazione Nexus 6, si ribella e torna sulla Terra alla ricerca del proprio creatore per avere più vita. I Nexus 6 infatti vivono solo quattro anni.
Rick Deckard, un cacciatore di replicanti appartenente alla squadra Blade Runner, verrà richiamato in servizio per dare la caccia ai quattro ribelli per ucciderli (o “ritirarli”, in gergo).

Blader Runner è uno di quei film capace di influenzare il cinema postumo in maniera così radicale da entrare di diritto nella storia del cinema, non solo di fantascienza. Tratto da un libro di Philip K. Dick, “Il cacciatore di androidi” (titolo originale: “Do androids dream of electic sheep?”, Gli androidi sognano pecore elettriche?) ne esistono diverse versioni, con poche differenze a livello di forma, ma con enormi differenze a livello di significato.

La cosa bella di questo film sono i diversi spunti di riflessione che offre.

La prima inevitabile osservazione riguarda il rapporto uomo-dio. I replicanti si ribellano poichè vogliono più vita, una vita che possa essere vissuta in tutta la sua pienezza e andranno direttamente dal loro padre-creatore a chiederla. Creatore che, non a caso li chiamerà “figli”.

Ma è un film dal sapore anche un po’ Cartesiano. I replicanti sono sì delle macchine, ma hanno sentimenti, provano dolore, sono dotati di ricordi (seppur impiantati artificialmente per conferire loro l’illusione di avere un passato), pensano...dunque sono. Allora cosa distingue un vivo da un replicante? Per tutto il film si ha la sensazione che in effetti chiunque potrebbe essere artificiale...e ognuno potrebbe non esserlo. E soprattutto sottolinea il dubbio, l’incertezza che ognuno di noi ha riguardo il proprio essere.

Altro tema interessante riguarda senza dubbio i risvolti etici della ricerca scientifica e delle tecnologia. Fin dove possiamo spingerci? Si può/deve porre un limite alla scienza?

La regia è eccezionale, capace di creare un’atmosfera senza precedenti, aiutata anche dalle bellissime musiche di Vangelis. Luci soft, neon ovunque, una metropoli che brulica di vita.

La versione che consiglio di visionare è la Director’s Cut, ovvero quella che pare sia stata voluta originariamente da Ridley Scott, ma che la produzione non accettò.

"Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione...e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire."

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